Ricerca di base

La ricerca di base è l'attività sperimentale o teorica sviluppata per acquisire nuova conoscenza su fenomeni fondamentali, iniziata senza la previsione di una sua particolare applicazione. Negli ultimi anni in Italia l'attività di ricerca di base è stata ulteriormente suddivisa, da un punto di vista programmatico ed operativo, in:
attività di ricerca di base libera, che trae origine dalle indicazioni e dalle proposte degli stessi ricercatori e viene svolta quindi senza un obiettivo preordinato. Essa si diversifica nei vari settori della conoscenza (raggruppati dal MIUR nelle discipline afferenti a 14 aree disciplinari) e rappresenta uno degli ambiti fondamentali di formazione di nuovi ricercatori e tecnici. Questo tipo di ricerca è generalmente finanziato tramite il Fondo di Funzionamento Ordinario alle Università (FFO) e agli Enti di Ricerca e i Progetti di Interesse Nazionale (PRIN);
attività di ricerca di base strategica dove l'unica limitazione è rappresentata dalla predeterminazione del settore di attività. Si tratta di settori scientifici ove l'accumulo di nuova conoscenza procede in modo accelerato, aventi importanti prospettive applicative nel breve/medio periodo, come ad esempio per taluni settori delle bioscenze (genomica, proteomica strutturale e funzionale, cellule staminali) e delle nanoscienze (nuovi materiali, sviluppi avanzati della microelettronica).
Questa distinzione ha trovato pratica attuazione in Italia con l'istituzione del Fondo Investimenti Ricerca di Base, FIRB, focalizzato al sostegno di attività di ricerca di base, mission oriented, in settori strategici.

I protagonisti della ricerca e dello sviluppo tecnologico in Italia sono molteplici, ciascuno con competenze e ruoli propri. Alcuni svolgono attività di ricerca come fine istituzionale, ad esempio gli enti pubblici di ricerca. Altri invece dedicano alla ricerca solo una parte delle risorse, come le imprese industriali. Un ruolo importante è quello delle istituzioni (Ministeri, Regioni, ecc.) che, attraverso risorse pubbliche, incentivavano e sostengono la ricerca e lo sviluppo.

In particolare il settore privato (imprese ed istituzioni private no profit) svolge mediamente il 48,7 % dell'attività nazionale di ricerca e sviluppo intra-muros (così definita la ricerca svolta dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche al proprio interno, con proprio personale e proprie attrezzature); al settore pubblico (università, enti pubblici di ricerca ed altre istituzioni pubbliche) corrisponde il restante 51,3%.

Percorso formativo

 Vi proponiamo una presentazione fatta da Hynda K. Kleinman nel corso di un seminario svoltosi presso Sapienza Università di Roma nel 2009, che conserva molti elementi di attualità e interesse e molti consigli pratici per chi vuole avviarsi a una carriera nella ricerca.
Spesso, infatti, nell'attuale mercato del lavoro "Doing good science is not enough" ...sono fondamentali anche la capacità di pianificare attentamente la propria carriera, di valutare costantemente i propri obiettivi, di scegliere il "mentor" e il laboratorio giusti, di sviluppare capacità non solo strettamente scientifiche, ma anche, ad esempio, comunicative e relazionali: "85% of all jobs in science are obtained  through contacts!"

How to survive and advance in a Science career 




 

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 Hynda K. Kleinman  
Short biography of Hynda K. Kleinman
College: Chemistry
Graduate School: MS in Biochemistry (MIT)
Ph.D in Biochemistry (MIT)
Postdoc: 2 years at Tufts University
1 year teaching chemistry (Simmons College)
4 years at NIH (National Institutes of Health
Tenured: 27 years at NIH
Sabbatical: 2004 Istituto Superiore di Sanità, Roma
Industry consultant: 2006-present

Storie di ricercatori

Research assistant presso il Biotech Research and Innovation Centre, University of Copenhagen
Pier Giorgio Amendola

La ricerca è uno dei settori più affascinanti e complessi del mondo scientifico. Sia per chi la vede dall’esterno come fruitore  dei risultati, sia per chi della ricerca fa il suo mestiere, o meglio, il suo percorso. Perché prima di diventare ricercatore bisogna esserlo, prima di fare carriera nella ricerca scientifica bisogna comprenderla. Essere ricercatore vuol dire, appunto, percorrere la strada che il proprio progetto di ricerca indica, essere pronti a spostarsi ed avere una flessibilità maggiore rispetto a quella richiesta da altri profili professionali. Di certo lo sa il nostro ospite di oggi, Pier Giorgio Amendola, che a soli 27 anni può già raccontarci un percorso fatto di successi e di tanto lavoro. Recentemente altri siti internet hanno parlato di lui, come vincitore di una borsa di studio della Fondazione Veronesi. Noi ci uniamo al coro, congratulandoci con lui per questo meritato risultato, e cercando di capire meglio come fare a seguire il suo esempio.Dottor Amendola, un giovane ricercatore che ha già una storia da raccontare, quando è iniziato il suo percorso nella ricerca scientifica?
Molto presto, già durante l’ultimo anno del corso di laurea ho svolto un periodo di stage presso il laboratorio della professoressa Sacchi all’Istituto Regina Elena di Roma, lavorando su un progetto riguardante la proteina p53, una delle proteine più studiate in oncologia. Desideravo andare all’estero per la tesi, ed in quel momento di scelta la professoressa Sacchi, insieme con la mia insegnante di genetica dell’Università Roma Tre, professoressa Tanzarella, sono state preziose guide che mi hanno indirizzato verso il Weizmann Institute of Science (http://www.weizmann.ac.il/), un prestigioso istituto che si trova in Israele. Sono stato accolto nel gruppo della professoressa Rotter, con un progetto di ricerca simile a quello su cui stavo già lavorando. Ovviamente il fatto di dovere vivere all’estero per un anno mi ha spinto a cercare dei finanziamenti per il periodo di studio, ed in quell’occasione ho avuto una borsa grazie alla Fondazione Sergio Lombroso (http://www.sergiolombroso.org/). Si tratta di una fondazione che annualmente finanzia circa 5 ricercatori italiani che si recano al Weizmann Institute per svolgere progetti di ricerca sul cancro. E’ stato un anno molto importante, perché ho avuto la possibilità di formarmi in un centro d’eccellenza, e di avvicinarmi maggiormente al mondo della biologia molecolare.Dopo questa esperienza è tornato in Italia per la laurea…
Si, mi sono laureato all’Università Roma Tre in Biologia Cellulare e molecolare nel febbraio del 2011, presentando le ricerche che avevo svolto in Israele. A questo punto è iniziato il periodo un po’ più critico, non perché non ci fossero delle opportunità, ma perché volevo trovare un’opportunità per concretizzare i miei interessi. Volevo fare un buon dottorato di ricerca. In Italia ho trovato carenza di fondi, anche se, tramite un colloquio all’IFOM di Milano (http://www.ifom-firc.it/), mi era stata offerta la possibilità di andare a Singapore per un periodo, sempre per seguire degli studi incentrati su p53. Nel frattempo ho partecipato al bando del progetto Leonardo Unipharma-Graduates dello scorso anno e sono stato selezionato. Ho subito accettato perché mi è sembrata un’opportunità perfetta per fare ancora un’esperienza all’estero e prendere qualche mese di tempo per decidere con più consapevolezza dove andare a svolgere il dottorato di ricerca.Quindi è stata la volta di Barcellona?
Per sei mesi sono stato ospite del laboratorio del dr. Postigo, presso l’Institut d’Investigacion Biomediques August Pi i Sunier (IDIBAPS http://www.idibaps.org/).

Anche in questo caso il progetto di ricerca è stato uno dei motivi principali della scelta?
Assolutamente si, mi interessava molto il progetto, in parte simile alla linea di ricerca che stavo già seguendo, anche se ho cambiato proteina. In Spagna ho avuto modo di constatare che la crisi si fa sentire anche nella ricerca, in maniera analoga a quanto accade già in Italia, quindi non avevo molte prospettive di finanziamento futuro nel laboratorio presso cui lavoravo. Ho iniziato quindi a cercare delle borse di studio che potessero finanziare il mio dottorato di ricerca. In realtà ho incontrato non poche difficoltà dal momento che gran parte delle borse di studio erano ovviamente riservate a studenti spagnoli, o per le quali comunque il fatto di essere spagnolo dava un punteggio maggiore. 

Ed ecco arrivare la borsa di studio della Fondazione Veronesi… 
Ho cercato delle borse di studio italiane, fra le quali appunto quella della Fondazione Veronesi (http://www.fondazioneveronesi.it/), che con grande sorpresa ho vinto, con un progetto da svolgere presso l’istituto in cui mi trovo adesso.Nel suo percorso ha sempre ponderato le scelte, quali sono stati i criteri di scelta del dottorato?
Ho scelto un posto in cui si potesse fare ricerca, in cui non ci fossero problemi di mezzi per portare avanti il progetto. Forse ho pagato le mie scelte perché vedo dei miei coetanei che sono già alla fine del proprio dottorato, ma non credo che il tempo che ho usato per decidere sia stato tempo perso, perché mi ha dato l’opportunità di crescere e di imparare molte cose. Il mio obiettivo durante il dottorato non è solo quello di fare ricerca, ma anche di potere studiare, fare degli esami, frequentare il mondo accademico insegnando presso l’Università. Ho considerato la stabilità dell’Istituto in cui avrei svolto il dottorato, anche guardando oltre il dottorato stesso e cercando di valutare, in prospettiva, quali opportunità per il futuro mi avrebbe poi offerto un dottorato in un posto piuttosto che in un altro.Ci parli della sua posizione attuale, il progetto di ricerca è cambiato?
Ho individuato il centro Biotech Research and Innovation Centre, Università di Copenhagen (http://www.bric.ku.dk/), perché qui la formazione è molto curata, attenta all’aggiornamento continuo tramite corsi e seminari anche su argomenti non proprio affini al tuo progetto. Sono passato da studi su proteine, che sono svolti in numerosi centri a livello mondiale, ad un progetto su c. elegans, in vivo quindi. Un settore più di nicchia, ma non per questo meno interessante. Mi occupo di epigenetica e di meccanismi di riparazione del danno al DNA. Sono molto contento del progetto, che svolgo sotto la supervisione della professoressa Salcini, e devo dire che i primi risultati mi sembrano molto promettenti. L’Istituto in cui ho iniziato il dottorato è un ambiente internazionale, con un’impostazione quasi americana, per cui è difficile che si rimanga qui dopo il dottorato, non perchè non ci siano le opportunità, ma perchè il periodo successivo al dottorato generalmente si tende a svolgerlo in altre strutture, per arricchire le proprie conoscenze.Come si fa a concorrere per la borsa di studio della Fondazione Veronesi?
Ci sono dei bandi annuali, la domanda di ammissione è simile a quella che si fa per altre borse, si presenta il proprio curriculum, insieme al progetto su cui si intende lavorare, e molto importanti sono anche le lettere di referenza; da quest’ultimo punto di vista sono stato molto fortunato perchè tutti i centri presso cui ho lavorato mi hanno dato le lettere di referenza che poi ho presentato in domanda. Ho capito ancora di più in quell’occasione l’importanza delle esperienze che avevo fatto.Guardando un po’ le sue esperienze in retrospettiva, confrontandole con quella attuale, cosa c’è di nuovo, di diverso, nell’Istituto in cui lavora adesso?
Ho avuto la fortuna di frequentare sempre centri d’eccellenza, dei quali non posso dire nulla che non sia positivo. Forse adesso ho più disponibilità di reagenti, molta più comodità e facilità di accesso a quello che mi serve quotidianamente. D’altra parte posso dire che in Spagna ho incontrato delle persone eccezionali, che mi hanno lasciato tanto anche a livello umano.
Poi, a livello generale, vivendo all’estero si cresce, anche perché si acquisisce una consapevolezza di se stessi completamente diversa. Sono all’estero perché l’ho scelto, ma anche perché credo che sia necessario avere continui scambi e arricchirsi con esperienze di lavoro e di vita diverse. Confrontarmi con ricercatori affermati, appassionati, mi ha fatto capire che volevo essere un ricercatore, che la curiosità che mi porto dietro da sempre poteva essere incanalata in questo mondo e diventare una professione.Ci lascia con un consiglio per i giovani che vogliono diventare ricercatori?
Di insistere, di provare e capire che non è impossibile essere ricercatori, a patto di abbandonare un po’ il concetto di lavoro “sotto casa”, che ci contraddistingue!

  PhD all'Institut Curie di Parigi  
Daria Bonazzi

"Da Bologna a Parigi il passo può essere molto breve, almeno a giudicare dall’esperienza della dottoressa Daria Bonazzi. Laureata in  Chimica presso l’università del capoluogo emiliano e volata a Parigi per svolgere un prestigioso dottorato di ricerca presso il Marie  Curie Institute, ci racconta oggi un percorso fatto di studio e duro lavoro, ma anche di grandi soddisfazioni.
Dottoressa Bonazzi, una giovanissima ricercatrice in un Istituto che mette un po’ di soggezione…
E’ vero, quando mi sono laureata non avrei mai immaginato di entrare nei laboratori dell'Institut Curie.Aveva già intenzione di andare all’estero?
In realtà si è trattato di una serie di fortunate coincidenze, che in poco tempo mi hanno portata da Bologna a Parigi, con un breve transito a Milano, grazie ad un progetto di elettrochimica dell’Università di Bologna realizzato in collaborazione con l’Istituto Europeo di Oncologia.Un campo nuovo ed affascinante…
Si, considerando che ho una laurea in chimica. L’approccio con la biologia è avvenuto proprio a Milano, durante la tesi della laurea specialistica in Fotochimica e Chimica dei Materiali. In quell’occasione ho incontrato per la prima volta le colture cellulari ed ho iniziato un percorso più orientato verso la biologia.Un settore, quello della chimica fisica, in forte espansione, che sicuramente offre diverse opportunità?
Oltre alla ricerca, sicuramente. Un titolo di studio come questo ha possibili sbocchi professionali in diversi settori dell’industria (alimentare, agricolo, dei materiali, farmaceutico, chimico..), anche se attualmente in Italia non è facile per nessuno trovare un lavoro. In realtà subito dopo la laurea, mentre continuavo a collaborare con il gruppo di elettrochimica dell’università, ho cominciato a cercare un lavoro inviando il mio curriculum ad alcune aziende locali: il mio obiettivo primario non era quello di andare all’estero. Forse il momento era sbagliato, probabilmente non ho avuto abbastanza pazienza, ma il risultato è stato che non ho sostenuto colloqui. Intanto avevo anche fatto domanda per il progetto Leonardo da Vinci Unipharma-Graduates.Progetto che quindi è stato il punto di partenza della sua carriera…
Forse parlare di carriera è ancora prematuro, ma certamente il Leonardo mi ha dato l’opportunità di entrare in contatto con un ambiente d’eccellenza nella ricerca come l’Institut  Curie. Ho iniziato con lo stage e devo dire che l’impatto è stato abbastanza forte.Ha incontrato delle difficoltà?
Quelle che credo possano presentarsi abitualmente, dalla sistemazione alla lingua straniera, anche perché in Francia non basta parlare in inglese, ma è quasi vitale conoscere il francese per la vita quotidiana al di fuori del laboratorio. Come dicevo prima, il  Curie è un centro d’eccellenza, quindi il lavoro procede ad un ritmo serrato fin dai primi giorni. E’ necessario dimostrare una grande capacità di apprendimento, perché ci si può trovare a lavorare in completa autonomia fin dall’inizio. Viene valutato il modo in cui si sta in laboratorio, in tutti i suoi aspetti, dall’impegno all’ordine fino ai risultati. I team leader sono ovviamente sempre molto impegnati, quindi a volte è difficile anche capire se stai procedendo nella giusta direzione. Questo di certo affina le capacità personali di problem solving, ma costa molta fatica!Il suo lavoro però è andato benissimo, visto che le hanno proposto il PhD.
Devo dire che gli sforzi sono stati ripagati. Mi sono appassionata molto presto al Curie: al gruppo, al lavoro, all’ambiente stimolante e di alto livello scientifico: ho imparato tantissimo sia da un punto di vista professionale che personale, e in sei mesi ho potuto ottenere ottimi risultati. Così alla fine dello stage mi è stato proposto di restare per un dottorato: in Francia però, a differenza dell’Italia, ogni potenziale dottorando deve cercare, con l’aiuto del proprio supervisor, una borsa di studio. All’inizio ho lavorato per un  periodo con un contratto di “ingénieur d’étude”, mentre mi preparavo ad affrontare una lunga trafila di selezioni e domande.
 
Quindi non è semplice come sembra ottenere una borsa di studio per un dottorato?
Per niente. Non è scontato come si crede avere una borsa insieme al posto di dottorato. Anche nel caso in cui si abbia dall’inizio il supporto di un certo laboratorio, com’è stato per me, è necessario presentare due domande separate: una per l’ammissione ad una “école doctorale” e una per ottenere una fellowship, cioè un finanziamento per i tre anni del PhD. Queste selezioni sono piuttosto dure e competitive per tutti gli studenti: in particolare se si è stranieri e non si conosce bene il francese, le difficoltà aumentano.Qual è l’iter da seguire?
In genere da febbraio ad aprile di ogni anno escono su diversi siti i bandi sia per i fellowship che per le Doctoral Schools: in entrambi i casi, si deve stilare un dossier dettagliato, costituito dal proprio curriculum vitae, una descrizione del progetto di ricerca e infine una parte motivazionale. È necessario compilare un bel po’ di modulistica e tradurre tutti i certificati di studi. Una volta passata la prima selezione, nel mese di giugno hanno luogo gli esami orali davanti ad una commissione di esperti. Infine in luglio si hanno i risultati finali. Neanche per i francesi è facile accedere ai fondi, paradossalmente gli stranieri hanno qualche  possibilità in più, grazie ad alcune borse internazionali (come ad esempio nel caso del Curie).Rallentamenti e disagi che rendono la situazione simile a quella italiana?
Forse burocrazia un po’ più veloce, per il resto credo non ci siano molte differenze.Adesso sta iniziando il dottorato, cosa vede nel suo futuro?
Proverò a rimanere nell’ambito della ricerca, ma tentando di tornare in Italia. Sotto questo punto di vista la Francia sta agevolando il rientro dei propri ricercatori in maniera molto costruttiva, non so se troverò le stesse condizioni. E’ indubbio però che la mobilità rimarrà una caratteristica fondante del lavoro.Decisa e tenace. Un consiglio per i suoi colleghi aspiranti ricercatori?
Di essere motivati e sicuri si sé, di sapere cogliere opportunità come quella del progetto Leonardo da Vinci per entrare in contatto con ambienti d’eccellenza altrimenti difficili da raggiungere.
Se poi qualcuno volesse tentare il PhD a Parigi consiglio di orientarsi verso l’Ecole Doctorale “Frontiéres du Vivant”, perché ha un approccio multidisciplinare e internazionale e, cosa da non sottovalutare, permette di sostenere gli esami in inglese.

PhD all'IRB di Barcellona
Simone Pieretti 

Ecco un’altra voce fuori dal coro, o meglio, la voce di un giovane che inizia ad entrare nel coro dei ricercatori italiani all’estero. Sempre più spesso i neo-laureati italiani, infatti, lasciano il paese subito dopo la laurea, per specializzarsi in laboratori europei o nordamericani. Fare il ricercatore è una scelta importante, totalizzante, bisogna prepararsi  e sapere sfruttare le occasioni di crescita fin dall’inizio della carriera. Proprio come ha fatto il dottor Simone Pieretti, che ci racconta il suo viaggio dall’Erasmus fino al PhD a Barcellona.
Dottor Pieretti, lei ha iniziato a viaggiare ancora prima della laurea. Ci racconta la sua esperienza?
Mi sono laureato in  Chimica e tecnologia farmaceutiche all’Università di Bologna, ma già durante il corso di laurea ho trascorso otto mesi presso il laboratorio di Chimie Thérapeutique alla School of Pharmaceutical Sciences, University of Ginevra. Ogni anno l’Università di Bologna, come credo molte altre in Italia, mette a disposizione degli studenti alcune borse di studio per svolgere la tesi all’estero. E’ stata un’esperienza molto formativa, perché sono passato in modo abbastanza repentino dalla routine degli esami e dei laboratori didattici alla vita di laboratorio in un paese straniero.Un impatto molto forte quindi …
Mi sono messo alla prova presto, ho avuto forse i problemi che incontrano tutti, la lingua straniera, gli orari di lavoro, la ricerca della casa.Tutte esperienze che hanno poi preparato il terreno per il tirocinio con il Progetto Leonardo da Vinci "Unipharma-Graduates".
Esatto. A dire il vero dopo la laurea ho trascorso un altro breve periodo in Belgio. Avevo iniziato un progetto di ricerca a Bologna, e per completare la mia ricerca su alcuni inibitori dell’enzima GADPH ho lavorato all’Università di Bruxelles.Il tirocinio Leonardo da Vinci quindi è stata la sua terza esperienza all’estero, questo ha sicuramente facilitato le cose.
In realtà si è trattato della quarta esperienza, perché prima della tesi avevo già partecipato al progetto Erasmus. Il Leonardo però è stata un’esperienza diversa, sotto molti punti di vista. Sono tornato con piacere in Spagna, presso il Molecular Biology Institute Science Park. Un ambiente molto stimolante, mi ha permesso di lavorare su un progetto nuovo che aveva poco in comune con le mie ricerche passate. Purtroppo all’interno del gruppo non esisteva la possibilità di fare un dottorato, quindi ho dovuto cercare altrove.Aveva già le idee chiare in materia di dottorato di ricerca …
Sono partito per Barcellona con l’intenzione di continuare a fare il ricercatore. Volevo che lo stage fosse un trampolino di lancio ed in realtà per certi versi lo è stato. Anche se in quel laboratorio non ho trovato una borsa per il PhD, ho potuto comunque visitare di persona gli altri laboratori e rendermi conto in prima persona del lavoro che eventualmente avrei svolto.Cercare un PhD all’estero può essere scoraggiante e poco fruttuoso. Quali criteri di scelta ha adoperato?
Per il motivo di cui parlavo prima, e cioè valutare di persona l’ambiente lavorativo e le ricerche svolte, ho preferito concentrarmi su Barcellona. Non è stato automatico, ma avere dei limiti mi ha permesso di andare diritto all’obiettivo. Farò il mio PhD all’IRB Science Park con una borsa della Caixa, una nota banca che sostiene progetti di ricerca. L’istituto presso cui lavorerò è un ente pubblico, ma ha diverse collaborazioni private, di conseguenza come immaginabile ha molte più opportunità di finanziare assegni di ricerca e dottorati.Cosa pensa che accadrà dopo il dottorato? Continuerà a viaggiare?
Inizio a settembre un dottorato che mi impegnerà per circa quattro anni nel settore della cristallografia a raggi X. Non so ancora se poi sceglierò di fare un post doc sempre all’estero o se proverò ad entrare nel mondo dell’industria. Ancora non sento di avere elementi sufficienti per valutare, sono certo però che queste esperienze mi stiano insegnando un metodo, che mi sarà utile in qualsiasi ambiente in futuro.Quale consiglio darebbe ai giovani che vogliono fare un percorso “estero”?
Di  non sprecare la preziosa opportunità che il programma Leonardo da Vinci costituisce. Di farlo solo se si ha in mente cosa si vuole ottenere, e in particolar modo se si vuole tentare la via del dottorato di ricerca

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